Con lo spegnimento dell’MPEG-2 sono state effettuate delle modifiche su alcune frequenze nazionali.
Con lo spegnimento dell’MPEG-2 sono state effettuate delle modifiche su alcune frequenze nazionali.
Chi ha comprato un televisore dopo il 2018 non dovrebbe avere problemi, rimarranno al buio solo le tv più vecchie e nel caso basterà comprare un nuovo decoder.
È stata una lunga marcia quella verso la transizione al nuovo digitale terrestre, il DVB-T2 (Digital Video Broadcasting – Second Generation Terrestrial). Dopo mesi di riassetto delle frequenze, il 21 dicembre ci sarà lo switch off definitivo con lo spegnimento dei canali codificati in Mpeg2, ovvero quelli che vanno dal 500 in poi.
Ci saranno quindi solo trasmissioni in MPEG-4 alle numerazioni iniziali. Cosa significa? Semplicemente che saranno visibili solo i canali in alta definizione. È il primo passo verso la transizione al nuovo digitale terrestre che si completerà a gennaio 2023. Ecco come capire se il proprio decoder o televisione sono compatibili con lo switch off.
Cosa cambia con lo switch off definitivo e cosa succede ai canali TV
Il percorso previsto dal decreto del ministero dello Sviluppo economico del 21 dicembre 2021, in realtà, è iniziato già lo scorso 8 marzo, quando è stata introdotta la codifica MPEG-4 in simulcast con l’MPEG-2. L’idea è quella di fare un grande trasloco per ottimizzare da un lato lo spazio di distribuzione dei canali, dall’altro la qualità.
L’aggiornamento tecnico infatti permetterà di vedere la televisione ad alta definizione, il DVB-T2 libererà le frequenze della banda 700 MHz e il formato video MPEG-4 con codifica H264 che è in grado di supportare una qualità di trasmissione maggiore. Il realtà lo switch off, però, un progetto molto più a lungo termine. Quella del 20 gennaio infatti è solo la prima tappa per la nuova generazione del digitale terrestre.
Come capire se la tv e il decoder sono compatibili con il nuovo digitale
Per capire se il proprio televisore o il proprio decoder sono compatibili con i nuovi standard basta accedere al sito nuovatvdigitale.mise.gov.it, dove è possibile trovare tutte le informazioni nella pagina dedicata. Non solo, si può anche consultare il manuale nella scheda tecnica del televisore per capire se supporta o meno il nuovo standard verificato. Se c’è l’indicazione DVB-T2 HEVC Main10 allora la transizione non sarà un problema. Altrimenti, quando verrà introdotta l’attivazione dei nuovi standard, a gennaio 2023 si potrà utilizzare il canale di test 200. Se sullo schermo comparirà la scritta “Test HEVC Main10”, allora il televisore sarà compatibile al DVB-T2.
Chi non avrà (quasi) sicuramente problemi
Se il televisore è stato comprato dopo il 2018 sarà compatibile con il nuovo digitale terrestre perché i dispositivi venduti dopo quella data, secondo il regolamento supportano il nuovo standard DVB-T2 e la codifica HEVC Main10. In realtà tutti i televisori in commercio almeno dal 2010 dovrebbero supportare l’alta definizione, nel caso fossero stati acquistati in precedenza probabilmente basta prendere un nuovo decoder. La transizione dovrebbe creare problemi solo alle prime tv HD Ready con decoder integrato SD. Quindi probabilmente rimarranno al buio circa due milioni di dispositivi.
Attenzione, anche i dispositivi più recenti potrebbero riscontrare qualche problema. Il primo è legato alle nuove posizioni dei canali, per esempio Rai o Mediaset potrebbero essere visibili solo dal 501 o dal 104 in poi e non nelle nuove posizioni dello switch off. In questo caso bisogna o acquistare un decoder o sostituirlo. Il secondo invece è per chi ha comprato una smart tv prima del 2018, questi dispositivi pur avendo un decoder DVB-T2, in realtà potrebbero non avere l’obbligo di supporto al formato Hevc (H265) con profilo Main 10.
Cosa fare se i canali non si sintonizzano
Anche se il televisore e il decoder sono compatibili con DVB-T2 potrebbero esserci problemi a visualizzare la schermata. Banalmente il canale 200 potrebbe non sintonizzarsi o non mostrare il messaggio “Test HEVC Main10”.
In tal caso probabilmente o è una cattiva ricezione, o una un’altra emittente che trasmette sul canale oppure, la televisione non riesce ad agganciarsi alle frequenze più recenti. Sarà quindi necessario, prima di acqusitare una nuova televisione o un nuovo decoder, effettuare una risintonizzazione per accertarsi che il problema non dipenda dai propri dispositivi.
Ci sono bonus tv e decoder per lo switch off?
Non è più possibile usufruire dei bonus tv erogati dal ministero delle imprese e del made in Italy per agevolare la sostituzione di tv e decoder non compatibili con i nuovi standard di trasmissione. C’era tempo fino al 12 novembre per richiederli.
Resta però attiva l’agevolazione ‘Decoder a casa’. Una misura introdotta in collaborazione con Poste Italiane S.p.A., che prevede la consegna direttamente a casa di un decoder compatibile con la nuova tecnologia alle persone dai 70 anni in su, con un trattamento pensionistico non superiore a 20.000 euro annui e che siano titolari di abbonamento al servizio di radiodiffusione.
fonte: www.fanpage.it
Come largamente anticipato da NL, è stata pubblicata dal Ministero delle imprese e del made in Italy la bozza delle Linee guida per i bandi DAB, cioè le procedure di selezione per l’assegnazione dei diritti d’uso per le reti pianificate sui bacini di utenza locale ad operatori di rete digitali per radiodiffusione sonora.
Nel merito, l’adozione della Delibera n. 286/22/CONS dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, adottata in attuazione dell’art. 50 comma 8 del D.Lgs. n. 208/2021 (cd. TUSMA), ha approvato il “Piano nazionale provvisorio di assegnazione delle frequenze in banda VHF – III per il servizio di radiodiffusione sonora in tecnica digitale DAB+ (PNAF-DAB)”, così realizzando il presupposto necessario perché il Ministero possa procedere al rilascio dei diritti d’uso sulle reti pianificate da AGCOM.
Il documento che segue contiene le linee guida relative ai criteri e alle modalità che verranno adottati per procedere all’assegnazione dei diritti d’uso agli operatori di rete locali per il servizio di radiodiffusione sonora terrestre in tecnica digitale.
L’obiettivo della pubblicazione delle linee guida è quello di acquisire le osservazioni di tutti i soggetti interessati, che dovranno pervenire esclusivamente all’indirizzo PEC dgscerp.div3@pec.mise.gov.it entro e non oltre il 10/01/2023.
Qui per scaricare il documento recante le Linee guida DAB+.
Seguirà prossimamente la consueta disamina del documento con la collaborazione dei professionisti di Consultmedia.
Il Ministero delle imprese e del made in Italy ha aggiornato il termine della procedura per l’attribuzione dei cd. LCN condivisi (a circuiti ed intese di emittenti locali) a causa della presenza di un refuso contenuto all’art. 2 del bando. La nuova data di scadenza per la presentazione delle domande è stata fissata per il 7 gennaio 2023.
Sciolti anche alcuni dubbi diffusi: in intese e consorzi solo soggetti concretamente attivi, anche nelle more del conseguimento della voltura del titolo acquisito da altro player. Una singolare interpretazione ripristina invece la figura della syndication (dell’era predigitale) sugli LCN originari (previa rinuncia di quella condivisa).
Si tratta, come già illustrato in altro articolo, della procedura competitiva per il conseguimento della numerazione automatica dei canali (LCN) della televisione digitale terrestre riservata ai consorzi o alle intese di emittenti locali in attuazione dell’art. 14 dell’Allegato A alla delibera Agcom n. 116/21/CONS del 21/04/2021.
Oltre all’aggiornamento della scadenza per le domande al 7 gennaio 2023, il Ministero delle imprese e del made in Italy ha pubblicato una serie di FAQ di cui alcune interessanti per la delimitazione dei confini della questione.
Il Ministero ha chiarito che ogni partecipante all’intesa (che deve essere documentata da scrittura privata regolarmente registrata) o socio del consorzio “deve avere un regolare contratto di cessione di capacità trasmissiva in corso di esecuzione, stipulato con l’operatore di rete“. In altri termini, non sono ammessi soggetti che non sono attualmente veicolati su mux areali, posto che la partecipazione è riservata solo a FSMA ex art. 2, comma 1 del bando di gara.
Le FAQ, come tipico, hanno chiarito anche alcune situazioni singolari, come quella di un soggetto che, avendo partecipato con il medesimo marchio ad una serie di bandi distinti ottenendo nelle rispettive aree tecniche la capacità trasmissiva richiesta e i relativi LCN, abbia interesse a partecipare al bando per gli LCN condivisi con altra società titolare di FSMA, ma solo in alcune aree assegnate. A riguardo, il Ministero ha chiarito che “Fermo restando quanto previsto dall’art. 2 del bando di gara, le aree tecniche per le quali presentare la domanda di partecipazione sono lasciate alla libera scelta del partecipante. Nelle aree tecniche non oggetto di domanda il marchio mantiene la numerazione LCN già attribuita“.
Il dicastero ha confermato altresì che la programmazione in contemporanea, a tutela dell’utenza (ex art. 1 c. 3 del bando), dovrà essere prioritariamente effettuata nelle fasce orarie di maggiore ascolto è quella compresa tra le ore 18,00 e le ore 24,00 di ogni giorno.
Convalidata anche l’interpretazione dell’art. 2 del bando – che prevede che possano presentare domanda di partecipazione alla procedura, tra l’altro, le intese di FSMA locali che intendano diffondere su più aree tecniche la medesima programmazione per una durata di almeno otto ore, e comunque non superiore a dodici ore – a mente della quale possono partecipare all’intesa due o più FSMA locali, di cui uno o più autorizzati e operanti anche in più aree tecniche.
Possono concorrere anche soggetti che hanno in corso la procedura dei volturazione dell’autorizzazione FSMA acquistata da altro soggetto, “fermo restando che, ai fini della partecipazione, il titolo per il quale si è chiesta la voltura sia corrispondente a quanto previsto dall’art. 2 del bando di gara“.
Interessante inoltre la conferma ad un quesito che, di fatto, ripristina la figura della syndication ante digitale.
Secondo tale intepretazione un consorzio o un’intesa partecipanti alla procedura di cui al bando, collocati utilmente nella graduatoria prevista dal bando stesso, possono rinunciare all’attribuzione delle numerazioni oggetto della procedura, con conseguente mantenimento da parte dei FSMA locali facenti parte di tale consorzio delle numerazioni LCN in precedenza loro singolarmente attribuite.
Assentendo a tale impostazione, il Ministero ha precisato la necessità dell’invio “al Responsabile Unico del Procedimento di una comunicazione di esplicita rinuncia alla numerazione assegnata, sottoscritta ai sensi del DPR 445/2000 dal legale rappresentate del consorzio o da tutti i legali rappresentati dei componenti dell’intesa.
Tale istanza deve essere inoltrata entro n. 3 giorni dalla data di pubblicazione della graduatoria sul sito istituzionale. In mancanza dell’invio di tale comunicazione nei termini sopra indicati, le numerazioni in precedenza singolarmente attribuite ai componenti del consorzio o dell’intesa rientreranno nella disponibilità del Ministero“.
Siamo arrivati a fine 2022, sono dunque passati sei mesi dal sudato rilascio della banda 700 MHz a favore del 5G. È giunto dunque il momento di fare il punto su queste frequenze, per capire se tutti i problemi che il “refarming” ha causato al settore televisivo erano davvero necessari; quanto meno in tempi cosi ristretti.
Certo, lo Stato ha incassato una cifra spropositata (in parte utilizzata per indennizzare i broadcaster locali che hanno dismesso i diritti d’uso delle frequenze utilizzate prima della naturale scadenza), ma le telco stanno davvero utilizzando questo spettro? E se – senza per ora nulla dire – stessero pensando al DVB-I over 5G, argomento sfiorato nella recente intervista di NL a Marco Pellegrinato di Mediaset, prima in assoluto sul tema?
Come sappiamo i 700 MHz sono un arco di frequenze utilizzato per servizi televisivi fino dagli anni 60/70: da 694 a 790 MHz, corrispondenti ai canali UHF 49 – 60. Tramite un processo detto refarming (l’equivalente italiano riassegnazione suonava forse troppo sincero) questi ex canali tv erano stati allocati al 5G, sulla base di una direttiva della Conferenza mondiale delle Radiofrequenze WRC 2015/2019.
Una occasione ovviamente sposata con entusiasmo dagli stati nazionali che hanno visto la possibilità di batter cassa (formalmente alle telco, ma in definitiva agli utenti finali della telefonia mobile).
Newslinet si è occupata costantemente di questo processo e chi desidera ripercorrere la vicenda può partire da qui e ripercorrere all’indietro la catena dei link.
Cominciamo con ricordare le promesse degli operatori mobili del 2018 (non necessariamente legate ai 700 MHz, ma al 5G in generale): “Le reti 5G consentiranno di ottenere una capacità di download di circa 10-50 Gigabit con una latenza massima di 1 millisecondo per le comunicazioni mobili”.
Chi scrive, in Francia, rileva oggi in 5G una latenza di 41 ms e una velocita’ di download di 180 Mbps, due ordini di grandezza peggio del promesso.
Motivo: secondo i tecnici del settore ancora non stiamo utilizzando il vero 5G, visto che si sono implementate soluzioni non stand alone, basate su una core network 4G che utilizza la dynamic spectrum sharing.
Passiamo all’utilizzo della banda, anche basandoci sui dati raccolti dal Stefano Bolis, esperto da noi intervistato a novembre 2022. Cominciamo con ricordare come solo tre operatori si sono aggiudicati le frequenze a 700 MHz: TIM, Vodafone e Iliad.
Ebbene, a oggi nessuno di questi operatori ha diramato annunci ufficiali rispetto a iniziative, servizi o miglioramento delle performance resi possibili da queste acquisizioni.
In mancanza di comunicazioni ufficiali serve ricorrere al crowd sourcing delle informazioni. Una delle fonti migliori è la community lteitaly.it, che pubblica mappe aggiornate con una quantità sorprendente di dati relativi al territorio italiano.
Iliad, la società fondata da Xavier Niel sorella della francese Freemobile è stata fin’ora la più attiva: ha infatti acceso, a macchia di leopardo ma a livello nazionale, una serie di BTS utilizzando la tecnologia Dynamic Spectrum Sharing.
Vodafone invece utilizza i megahertz assegnati in modo limitato ed esclusivamente per il 4G. In particolare il numero di BTS attive anche in banda 28 (i famosi 700 MHz) rappresenta solo il 2% del totale.
Per quanto riguarda TIM nessuno ha rilevato attivazioni, dunque, per dirla con il molto british Bolis, “è lecito pensare che la società sia in attesa di capire come sfruttare al meglio queste frequenze“.
TIM avrebbe speso oltre 680.000.000 euro per stare ferma e cercare di capire?
E se stessero pensando al DVB-I? Si tratta ovviamente solo di una nostra ipotesi e l’idea ci è venuta proprio dopo l’intervista all’ing. Pellegrinato di Mediaset.
In questa viene affermato che “L’avvento del DVB-I rappresenta una perfetta soluzione di continuità standardizzata e aperta, per la fornitura di servizi di televisione lineare”, ma anche che per il DVB-I “servono reti diverse dalle attuali, progettate con tecnologie e requisiti diversi da quelli attuali, per garantire una qualità e continuità di servizio analoghi al broadcast tradizionale via etere. Serve una rete IP unica per il broadcasting. Non importa chi la realizzerà. Il DVB-I è solo il punto di partenza, la rete quello di arrivo.”
La prima nostra reazione è stata di meraviglia: chi dovrebbe realizzare “una rete IP diversa dalla attuale” che garantisca “bassissima latenza” ? E perché mai dovrebbe farlo?
L’ipotesi dunque che questa possa essere proprio la banda 700 MHz utilizzata non più in DVB-T ma (anche) in DVB-I.
Gli elementi tecnici ci sarebbero, considerato che i requirements per il DVB-I su 5G comprendono ”support different Rel-16-based 5G operation modes, namely 5G Broadcast, unicast-based 5G Media Streaming, concurrent delivery of the same service over both modes“.
Quanto a quelli economici, i broadcaster potrebbero risparmiare, eliminando i costi della propria rete di diffusione e sostituendoli con un fee da pagare alle telco per il trasporto dei loro programmi.
Abbiamo cercato di validare la nostra ipotesi direttamente rivolgendoci a Mediaset per un follow-up all’intervista a Pellegrinato. Ma, al momento, il gruppo ci ha risposto che preferisce non rilasciare approfondimenti, almeno fino all’avvio dell’annunciata sperimentazione.
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