Radio. Cosa sta succedendo? Tra ipotesi di PNAF-FM e rallentamenti del DAB, il settore radiofonico si interroga seriamente sul proprio futuro

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Già verso la fine dell’estate scorsa avevamo registrato segnali preoccupanti, di cui puntualmente avevamo dato conto: blocco del rilascio delle autorizzazioni sperimentali ai consorzi DAB locali, nonostante la presenza di nulla osta della divisione tecnica del Ministero (allora dello Sviluppo economico); difficoltà di conseguimento di autorizzazioni per l’integrazione impiantistica di quelli nazionali. E, ancora una volta, ipotesi, sempre più insistenti, di adozione del Piano Nazionale di Assegnazione delle frequenze FM (PNAF-FM) o, più probabilmente, di un refarming della modulazione di frequenza con soppressione delle emissioni interferenti con gli stati esteri e/o dismissioni FM progressive (uno switch-off a tappe, come per il DTT).

 

Nuovo governo, vecchie ipotesi

Con l’insediamento del nuovo governo ed il cambiamento dei vertici di indirizzo politico del Ministero (ora delle Imprese e del made in Italy) – le cose non sarebbero però collegate, ma solo incidentali – tali segnali si sono intensificati. Fino a ieri (02/12/2022), quando la vicenda è (nuovamente) esplosa, con Confindustria Radio Tv che parla apertamente di “operazioni preliminari per avviare un processo di dismissione dell’analogico a tappe forzate” e della necessità di aprire “una nuova stagione di relazioni istituzionali e pratiche, in un’ottica di proficua cooperazione e non di ostilità anche con le direzioni generali del Ministero”.

 

Cosa è successo?

Ma perché la situazione (per i meno attenti) sarebbe precipitata? Secondo una lettura morbida, in prossimità della pubblicazione della bozza delle Linee guida sui bandi DAB+ per i consorzi locali, qualcosa si sarebbe inceppato. Per altri, invece, semplicemente la questione sarebbe riemersa come il fuoco sotto la brace quando qualcuno ci soffia sopra.
Parliamo della, periodica, volontà di legare lo sviluppo della radiofonia digitale alla dismissione della banda FM. Passaggio, peraltro, non escluso da Confindustria Radio Tv, ma solo ad avvenuta affermazione di un “equilibrato e concreto sviluppo del processo di digitalizzazione”.

 

Perché?

Ma che vantaggi ci sono ad abbandonare la FM? Qui, a differenza delle bande 800, 700 ed ora 600 MHz, non c’è un interesse concorrente delle telco rispetto a quello dei broadcaster. Per la modulazione di frequenza non è infatti previsto, allo stato, un reimpiego (come per le frequenze tv a favore del 5G), ma solo un abbandono.

 

Cui prodest?

Dietro la pretesa di spegnere la FM per incentivare l’utenza a passare al DAB+ (respinta dai broadcaster perché già ora la gran parte delle autoradio espone l’offerta radiofonica in forma integrata, senza quindi una differenziazione come per la tv analogica/digitale), ci sarebbero in realtà le pressioni di Croazia e Slovenia per la definizione delle problematiche interferenziali sull’area adriatica (peraltro pesantemente sopravvalutate e comunque non verificate in contraddittorio, secondo gli editori italiani).

 

Pressioni

Pressioni che avevano già condotto al mancato accordo per la pianificazione delle frequenze DAB+ che aveva costretto l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ad approvare un PNAF-DAB provvisorio.

 

Sinallagma fallito

Il mancato sacrificio delle frequenze FM per l’ottenimento dell’assenso slavo all’impiego di ulteriori frequenze DAB+ avrebbe intensificato le pressioni straniere sull’Italia. Verso le quali il Ministero delle imprese e del made in Italy non sarebbe indifferente, al punto da spazzare la polvere dal dossier PNAF-FM. “Le pressioni dei Paesi confinanti non possono condizionare le scelte dell’Italia, che ha il dovere di salvaguardare innanzitutto gli utenti – che da un processo di dismissioni inattuali sarebbero tagliati fuori dall’accesso all’ascolto della propria radio – nonché il patrimonio industriale, fatto di informazione, pluralismo, creatività, occupazione, concorrenza e investimenti”, commenta sul punto Confindustria Radio Tv.

 

Il nodo

Sebbene sia improbabile l’adozione di un PNAF-FM in tempi brevi (cioè entro il 2025, come qualcuno aveva ventilato), altrettanto non si può dire di un refarming della banda FM.

 

Ricognitori sull’adriatico

A riguardo, ricordiamo che già si era parlato di una ricognizione interferenziale che partendo da Friuli Venezia Giulia (insieme alla parte occidentale della Slovenia e l’area dell’Istria, in Croazia) si sarebbe estesa a Veneto, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo e Puglia per individuare le incompatibilità radioelettriche (che interesserebbero tra 1000 e 1500 impianti FM).

 

Ridondanze

Ma, secondo i rumors, la ricognizione avrebbe dovuto identificare anche le ridondanze impiantistiche, così da prevedere riassegnazioni a favore degli interferenti privati delle emissioni incompatibili. Soluzione, in realtà, difficilmente praticabile, vista l’altissima probabilità di accoglimento degli inevitabili ricorsi alla giustizia amministrativa.

 

Energia strumentale

Così, complice la crisi energetica, era stata ipotizzata la riduzione massiva delle potenze d’esercizio fino a 6 dB (ovviamente su tutti gli impianti FM, non solo quelli interferenti con le stazioni estere). Sulla questione, i nostri lettori ricorderanno le notizie rilanciate da NL l’estate scorsa, che avevano sensibilizzato sull’intento (poi abbandonato proprio dopo le proteste seguite al nostro articolo) di inserire la norma nel Decreto energia.

 

Decine di dB

D’altronde, anche tale soluzione sarebbe stata pressoché inutile, visto che Croazia e Slovenia lamentano interferenze la cui rimozione imporrebbe la diminuzione dei segnali italiani da 10 a 30 dB (e oltre).

 

PNAF-FM e switch-off

Così, come del resto era apparso evidente da subito, si è tornati a parlare di PNAF-FM e di switch-off (questa volta a tappe). Scenari verso i quali i broadcaster alzano le barricate: “L’FM ad oggi è la struttura portante e ancora irrinunciabile del sistema e non può essere abbandonato di impulso, perché la radiodiffusione sonora in tecnica analogica rappresenta ancora oggi il vero mercato del sistema. Eventuali interventi in senso contrario metterebbero a rischio anche la continuità aziendale di un settore che fattura 650 milioni di ricavi e occupa 3000 dipendenti diretti”.

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